Venezia 72: RABIN, THE LAST DAY di Amos Gitai (2015)

rabin

Ricostruendo in maniera variegata e multiforme le indagine relative all’omicidio del primo ministro israeliano Rabin avvenuto il 4 Novembre del 1994 a Tel Aviv, Amos Gitai costruisce un film macchinoso, (troppo) lungo e a tratti estremamente pedante che tuttavia nasconde al suo interno una forza cinematografica notevole e una passione cronachistica di tutto rispetto. Rabin, The Last Day non si accontenta di riproporre i fatti inscenandoli, e nemmeno di mostrare l’accaduto utilizzando immagini di repertorio. La verità sta nel mezzo, così l’autore opta per entrambe le tecniche qui esposte inscenando i processi ai protagonisti (offrendo dunque un molteplice punto di vista), recuperando alcuni estratti video dai telegiornali dell’epoca e decorando ulteriormente il tutto con riprese più retoriche e poetiche che sono forse il vero grande punto debole del film.

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ANA ARABIA di Amos Gitai (2013)

 Da sempre attento ad esplorare le condizioni socioculturali che l’eterno conflitto tra Israele e Palestina ha prodotto nella società mediorientale, il regista e sceneggiatore israeliano Amos Gitai, torna in concorso alla 70esima edizione del Festival di Venezia con Ana Arabia, opera che per coerenza stilistica e tematica si posiziona perfettamente all’interno della sua vasta filmografia. Protagonista della vicenda è Yael (Yuval Scharf), avvenente giornalista israeliana che si reca all’interno di una ristretta comunità di reietti formata da ebrei ed arabi, i quali vivono insieme in un angolo terrestre dimenticato dai più, al confine tra Jaffa e Bat Yam in Israele. In questi luoghi viveva Ana Arabia, nata in Polonia, emigrata in Terra Santa dopo la Seconda Guerra Mondiale, sposata ad un arabo e per questo motivo divenuta la fonte principale delle malelingue di amici e benpensanti.

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