LA FINESTRA SUL CORTILE di Alfred Hitchcock (1954)
Mercoledì 07/05/14, ore 16.35, RETE 4
L. B. Jeffries (James Stewart), fotoreporter di successo, è costretto all’immobilità a causa di una frattura alla gamba.
Mercoledì 07/05/14, ore 16.35, RETE 4
L. B. Jeffries (James Stewart), fotoreporter di successo, è costretto all’immobilità a causa di una frattura alla gamba.
Introduzione: “A matter of life and death”
In un saggio pubblicato nel 2012 lo storico Ben Alpers si è interrogato sulla differente collocazione, nell’immaginario di massa della cultura occidentale, di due grandi cineasti inglesi: Michael Powell ed Alfred Hitchcock. Al netto di due percorsi artistici e biografici che in diversi momenti si sono reciprocamente somigliati, e senza tentare di stilare impensabili graduatorie di merito o valore, la conclusione evidenziata dallo storico è stata che l’opera di Alfred Hitchcock, per una complessa combinazione di ragioni, rispetto a quella di Powell ha beneficiato di una diffusione di massa decisamente più vasta, arrivando a toccare strati di pubblico spesso anche molto lontani da una assidua frequentazione cinematografica. Il cinema di Alfred Hitchcock, con gli anni, ha acquisito le caratteristiche di un fenomeno unico nel suo genere: alcuni film della sua filmografia sono diventati parte talmente integrante della memoria collettiva da diventare patrimonio acquisito, o condiviso, anche per persone che mai hanno avuto la possibilità di vederli. Lo stile del maestro londinese è così diventato un marchio riconoscibile per intere generazioni, che hanno continuato ad associarlo ad un ben definito apparato di immagini, suoni, personaggi ed atmosfere. All’interno della sua ricchissima produzione sono tre i film che più di altri, nella percezione diffusa, hanno contribuito a definire il paradigma hitchcockiano per eccellenza: Psycho (1960), Gli uccelli (1963) e La donna che visse due volte. Tra questi, l’ultimo rappresenta per molti critici ed appassionati la vetta più alta e la sintesi più completa di tutto il cinema hitchcockiano. Come accade solo per i grandi capolavori, Vertigo è il frutto di una miracolosa e irripetibile coincidenza di situazioni, che nel 1958 concedevano al maestro londinese di girare il suo film più personale, nel momento di massima ispirazione artistica e con il più ampio controllo possibile su un sistema degli Studios ancora in grado di concedere grande libertà ai suoi autori.