SUICIDE SQUAD di David Ayer (2016)

 

Tra i fan dei cinecomic, ma non solo, l’attesa per Suicide Squad era alle stelle, soprattutto dopo gli splendidi trailer che avevano accompagnato l’ultimo periodo. Eppure, la critica statunitense aveva già messo in allarme sul fatto che il progetto fosse un fallimento quasi totale e purtroppo avevano ragione: Suicide Squad è la delusione più cocente dell’anno o, quantomeno, la più grande occasione sprecata.

La sceneggiatura, se tale può essere chiamata, è la vera nota dolente: alcuni dei supercattivi di Gotham, su cui spiccano Harley Quinn (Margot Robbie) e Deadshot (Will Smith), sono ormai rinchiusi da tempo in carcere di massima sicurezza quando, a causa di una minaccia sovrannaturale, Amanda Waller (Viola Davis), decide di arruolarli promettendo, in cambio, di esaudire le loro richieste.

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“La grande bellezza” del cinema italiano. Paolo Sorrentino vince l’Oscar

043011606-be8f47ed-128f-4265-96e7-8cb5ae5d00f5È l’anno di Paolo Sorrentino, è l’anno de La grande bellezza. Quindici anni dopo la vittoria di La vita è bella di Benigni, la nostra cinematografia è finalmente tornata a trionfare grazie al monumentale affresco del regista napoletano, che dopo aver fatto incetta di premi (Bafta, Golden Globe) si è aggiudicato anche il riconoscimento più prestigioso. Immaginiamo e speriamo che questo importantissimo traguardo contribuirà a dare ulteriore vigore al cinema italiano e a riportare l’attenzione internazionale sulle nostre opere, dopo qualche decennio di ombre e nebbia (basti pensare che l’ultimo film candidato, nel 2006, era il non brillantissimo La bestia nel cuore di Cristina Comencini).

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DALLAS BUYERS CLUB di Jean-Marc Vallée (2013)

Dallas1985. L’HIV si sta diffondendo per il territorio americano a una velocità impressionante senza che la comunità scientifica si dimostri in grado di trovare le giuste contromisure. Ron Woodroof, torero texano cocainome, alcolizzato e omofobo, scopre di esserne affetto ed inizia la sua personale battaglia contro il letale virus dell’AIDS, procurandosi fuori dagli Stati Uniti dei farmaci non approvati dalle autorità competenti del suo paese e rivendendoli a coloro che condividono la sua stessa sorte.

Dallas Buyers Club di Jean-Marc Vallée, tratto da una storia realmente accaduta, è una tipologia di film biografico cui un po’ tutti, anche se non ce ne accorgiamo troppo, siamo decisamente abituati. Di quei prodotti che adempiono con millimetrica aderenza a tutti i requisiti necessari per farsi piombare addosso una pioggia di Oscar: il protagonista realmente esistito, i tic fedelmente riproposti (in questo caso quasi tutti deplorevoli), una regia d’ordinanza ma smaliziata e capace e un attore in grado di elevare a potenza l’equazione infallibile del cosiddetto metodo: ecco che allora, intorno a un Matthew McConaughey gigantesco e quasi irriconoscibile, si articola un film di solido mestiere, che riesce a intrattenere e indignare ma senza mai superare le rigide barriere del biopic classico.

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