Venezia 71: ONE ON ONE di Kim Ki-duk e 99 HOMES di Ramin Bahrani

ONE ON ONE di Kim Ki-duk (2014)

one-on-oneFilm di apertura della rassegna Giornate degli autori, sezione autonoma promossa dalle associazioni dei registi e degli autori cinematografici italiani Anac e 100autoriche che si affianca alla programmazione ufficiale della Mostra del cinema di Venezia, One on One è l’ultima opera di Kim Ki-duk, presente al Lido per il terzo anno consecutivo, dopo il Leone d’Oro ottenuto nel 2012 per lo stupendo Pieta e il clamore suscitato l’anno scorso con il controverso Moebius, presentato nella sezione Orizzonti. Questa volta, però, ilfurore artistico del cineasta coreano appare subordinato ad una vicenda dal taglio così esplicitamente politico da risultare didascalico, appesantito da una fitta rete di dialoghi che fa rimpiangere l’ascetica geometria silente della sua opera precedente. Proseguendo una poetica sulla ferita e la tortura del corpo probabilmente giunta al capolinea, Kim mette in scena una storia in cui parossistica violenza e desiderio di vendetta si compenetrano per denunciare gli orrori della sopraffazione derivante dal comando dittatoriale praticato da un gruppo di militari ai danni di (presunti?) innocenti in seguito allo stupro di una ragazza. Le insostenibili efferatezze che si susseguono sullo schermo turbano senza sconvolgere, il ricorso morboso allo shock-a-tutti-i-costi appare ormai logoro, la noia dilaga. L’ambiguità di fondo nel denunciare la corruzione presente nella Corea contemporanea colpisce nel segno ma certo non basta a risollevare le sorti di un film in cui l’espiazione delle proprie colpe e il ribaltamento di prospettiva vittima/carnefice suona come l’ultimo, disperato appiglio a cui un grande regista cerca di aggrapparsi prima di affogare nel mare delle proprie stantìe ossessioni.

Voto: 2/4

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AT ANY PRICE di Ramin Bahrani (2012)

Spesso accade che le maggiori contraddizioni di un paese possano essere smascherate meglio da qualcuno che ha conosciuto quel paese attraverso il filtro di un’altra cultura. Nemo propheta in patria, ma può essere vero anche l’esatto opposto. Il cinema è pieno di illustri demistificatori del mito americano che negli States hanno posto la loro dimora artistica d’elezione, da Billy Wilder a Elia Kazan. Altri sul suolo americano ci sono nati, ma da genitori che avevano attraversato l’oceano in cerca di una terra fertile dove piantare il proprio seme.

Nelle vene di Ramin Bahrani, autore di At Any Price in concorso a Venezia, scorre sangue iraniano, ma il suo cinema è un concentrato di valori (e disvalori) dell’America Profonda. Nato, nel 1975 a Winston-Salem, Nord Carolina, da due genitori iraniani, Bahrani, segnalatosi negli ultimi anni in diversi festival e rassegne internazionali, presenta al Lido il suo quarto lungometraggio, dopo il corto diventato fenomeno virale sul web Plastic Bag.

 

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