READY PLAYER ONE di Steven Spielberg (2018)

Ready Player One

2045: la maggior parte degli abitanti della Terra vivono in condizioni precarie e la loro quotidianità si interfaccia con un’unica consolazione, OASIS. Un mondo virtuale alla portata di tutti e ispirato alla cultura pop degli anni ’80, creato dal genio miliardario James Donovan Halliday (Mark Rylance). Quando quest’ultimo verrà a mancare, lancerà una sfida a tutti i partecipanti del gioco: recuperare un easter egg appositamente inserito per poter aggiudicarsi la sua eredità e il controllo del gioco. Uscito in sala dopo The Post (ma realizzato precedentemente) Ready Player One aggiunge un nuovo tassello al filone inaugurato da Steven Spielberg con Le avventure di Tintin – Il segreto dell’Unicorno (2011) e Il GGG – Il Grande Gigante Gentile (2016): motion capture e CGI sono al servizio di un’avventura per ragazzi che, questa volta, abbandona i panni fumettistici o fiabeschi per tuffarsi nel vortice (mai così tumultuoso) della realtà virtuale.

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THE POST di Steven Spielberg (2017)

Steven Spielberg. Tom Hanks. Meryl Streep. Insieme. Cosa volere di più? Le aspettative attorno a The Post, oltre che per il tema scottante toccato dal regista statunitense, giravano anche attorno alla prima collaborazione tra tre icone del cinema, che mai prima d’ora avevano avuto modo di stare sullo stesso set. E visto il risultato finale, come prevedibile, si può dire sia un vero peccato che tutto sia avvenuto solamente ora. È il 1971, nel pieno della guerra in Vietnam, il giornalista del Washington Post, Ben Bradlee (Tom Hanks) riesce ad ottenere i segreti governativi che riguardano la situazione bellica e quanto questa sia distante dalle promesse e dai proclami dei presidenti statunitensi. Pubblicare o non pubblicare? L’ultima parola spetta a Katharine Graham (Meryl Streep), che guida il Post e che si troverà di fronte alla decisione più importante della sua carriera, e della sua vita.

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Coraggio, donne e libertà di stampa alla conferenza di The Post

 

«La stampa americana ha accolto bene il film, l’unica cosa è che il New York Times ha detto che avrebbe preferito il titolo “The New York Times”»: Tom Hanks si presenta con una battuta alla conferenza stampa successiva alla proiezione stampa di The Post, cui erano presenti anche Meryl Streep e, soprattutto, il regista, Steven Spielberg, che ha subito introdotto la tematica della libertà di stampa, legandola all’attualità: «Si tratta di garantire la democrazia e nel 1971 Nixon cercò di negare questo diritto e si rese necessario l’intervento della Corte Suprema per risolvere la situazione. Tra ’71 e ’17 purtroppo la situazione non sembra essere migliorata, visto che la stampa ancora adesso è spesso sotto accusa».

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IL GGG – IL GRANDE GIGANTE GENTILE di Steven Spielberg (2016)

 

L’ennesimo acronimo di Steven Spielberg.

Ebbene sì, anche nel suo ultimo film il nostro caro vecchio “amico” ha usato un acronimo: GGG infatti sta per Grande Gigante Gentileo nella versione originale BFG Big Friendly Giant. Come non ricordare i precedenti E.T. e A.I. Intelligenza Artificiale? Il film, tratto dal romanzo di Roald Dahl, racconta la storia piccola orfana Sophie (Ruby Barnhill) che una notte, affacciata dal suo orfanotrofio di Londra, scorge Il Grande Gigante Gentile, l’essere più gentile tra i suoi simili (molto più temibili e soprattutto mangiauomini, lui è l’unico vegetariano). Per evitare che la piccola riveli la sua esistenza, il Gigante la porte con sé, avvolta in una coperta, nel suo regno. Comincia così una grande avventura che vedrà addirittura coinvolgere Sua Maestà la Regina d’Inghilterra.

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IL PONTE DELLE SPIE di Steven Spielberg (2015)

 

Nella primissima inquadratura de Il ponte delle spie (appena prima di un prologo memorabile, dai sapori Hitchcockiani che ci ricorda nuovamente quanto Spielberg sia un profondo conoscitore a amante di cinema oltre che un professionista del settore) è racchiuso tutto il senso dell’operazione diretta dal regista statunitense: un volto ripreso in primo piano viene ridimensionato grazie a un carrello all’indietro che mostra come il viso appena inquadrato sia solo il riflesso, mostrato da uno specchio, di un uomo seduto dando le spalle alla macchina da presa intento ad osservarsi per dipingere un autoritratto.

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TORINO FILM FESTIVAL 2014: uno sguardo d’insieme

Giunto al suo trentaduesimo anno di vita, il Torino Film Festival ha reso noto oggi il menù della prossima rassegna. 197 titoli, 65 lunghi, 45 anteprime mondiali, 23 anteprime internazionali, 3 anteprime europee, 70 anteprime italiane. Questi sono i numeri dell’edizione che prenderà il via il 21 Novembre nella capitale piemontese. Ma, come da sempre questo Festival ci ha abituato, non è la quantità il suo punto forte, bensì la qualità.

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LINCOLN di Steven Spielberg (2012)

«Sezione I: La schiavitù o altra forma di costrizione personale non potranno essere ammesse negli Stati Uniti, o in luogo alcuno soggetto alla loro giurisdizione, se non come punizione di un reato per il quale l’imputato sia stato dichiarato colpevole con la dovuta procedura.

Sezione II: II Congresso ha facoltà di porre in essere la legislazione opportuna per dare esecuzione a questo Articolo».

[XIII° Emendamento della Costituzione degli Stati Uniti d’America].

 

Ci sono registi apprezzati solo dalla critica. Ci sono registi amati solo dal pubblico. E poi c’è Steven Spielberg. Qualsiasi appassionato della settima arte, dalla casalinga di Voghera al più illuminato dei critici cinematografici, conserva nel cuore un titolo della sua variegata filmografia. Innovatore e virtuoso della tecnica fin dagli esordi nella New Hollywood degli anni ’70, Steven Spielberg, primogenito di genitori ebrei, nelle sue opere non scende mai a compromessi nel condannare con sentita partecipazione ogni forma di pregiudizio o discriminazione razziale, all’interno di una visione manichea della realtà in cui il Bene trionfa sempre sul Male. Talvolta, però, il ricorso a soluzioni enfatiche e smaccatamente sentimentali impedisce un pieno apprezzamento delle sue pellicole, che tendono a scivolare nel facile patetismo. Spielberg, nel suo capolavoro assoluto Schindler’s List, datato 1993 (anno in cui riceve il Leone d’Oro alla carriera alla Mostra del Cinema di Venezia), rifugge qualsiasi stereotipo legato alla tragedia della Shoah e pone l’attenzione sull’alta statura morale del protagonista, senza piegare la Storia alla minima convenzione retorica. Trasposti nel contesto storico della Guerra Civile Americana (12 aprile 1861 – 9 aprile 1865), ritroviamo gli stessi pregi in Lincoln, ultima pellicola di un regista che non ha mai nascosto il proprio patriottismo.

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E.T.-L’EXTRATERRESTRE di Steven Spielberg (1982)

etSembra che ultimamente nelle sale cinematografiche ci sia la tendenza a restaurare e riproporre film storici, classici, ormai entrati nella cultura generale. Povertà del cinema contemporaneo? Semplice desiderio di mettere dei capolavori a disposizione per chi non ha avuto la fortuna di nascere negli anni della loro uscita? Operazione di marketing? Non si sa, ma quel che è certo, oltre al sold out di ognuno, è che dopo Il Re Leone, La Bella e la Bestia e La Carica dei 101 firmati Disney, Titanic di James Cameron (in 3d), C’era una volta in America di Sergio Leone, Le Iene di Quenin Tarantino e Ritorno al Futuro, di Robert Zemeckis, ora è il turno di E.T. – L’Extraterrestre, di Steven Spielberg. Alzi la mano chi non ne ha mai sentito parlare o chi non ha mai visto la celebre corsa delle biciclette fluttuanti al chiaro di luna piena, omaggio evidente ad uno dei capolavori di Vittorio De Sica, Miracolo a Milano, del 1951. E non è un caso che il creatore degli effetti speciali di E.T., premiato con l’oscar, sia proprio un italiano, Carlo Rambaldi, scomparso il 10 agosto scorso. Una grande soddisfazione per l’Italia, che con Rambaldi ha raggiunto le statuette anche per Alien e King Kong, mentre con Steven Spielberg ha collaborato ancor prima di E.T., per Incontri ravvicinati del terzo tipo.

 

 

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WAR HORSE di Steven Spielberg (2012)

Ci sono abiti eleganti e abiti “da guerra”, quelli che usiamo per imbiancare o per giocare a pallone con gli amici. Ci sono cavalli da fiera e cavalli da guerra, buoni solo a faticare. Spielberg racconta la storia di un’amicizia tra un purosangue forte, sano robusto costretto a diventare un cavallo da guerra, ed un giovinotto.

 
La base su cui poggia l’intero film dunque è potenzialmente solidissima anche perché, essendo ambientato durante la prima guerra mondiale, permetterebbe di trattare temi  e sottotrame più umane e complesse. Però sin dai primi minuti di pellicola notiamo che c’è qualcosa che non va. Non riusciamo ad immedesimarci nei personaggi, la colonna sonora del fedelissimo John Williams invade troppo spesso le immagini, le svolte narrative non funzionano e l’aria di buonismo che aleggia durante i lunghissimi 146 minuti li rende poco credibili.

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