THE BLUES BROTHERS di John Landis (1980)

A tutto Blues: Brothers, e non solo - la Repubblica

“Sì! Sì! Gesù Cristo ha compiuto il miracolo! Ho visto la luce!”

Joliet Jake Blues

Può un film condizionare l’esistenza? Può plasmare (o plagiare, come preferite) una persona al punto da spingerla a rivederlo, in media, una volta alla settimana da anni? Portarla ad imparare ogni singola battuta a memoria e a citarla, suscitando ilarità e/o sgomento tra gli amici più intimi? A farsi tatuare con esplicito riferimento ai suoi protagonisti?

Ebbene sì, tutto ciò è possibile. Eccomi. Trent’anni, di cui ventiquattro passati ad essere irrimediabilmente ossessionata da una pellicola. A questo punto, molti di voi potrebbero aspettarsi un’opera di immenso valore ideologico e culturale, entrata nella storia del cinema per il suo altissimo e profondissimo messaggio intrinseco; ma, dato il titolo di riferimento, qualcuno si starà ponendo più di una domanda.

 

Il film in questione è The Blues Brothers. Fenomeno di costume, capostipite della comicità demenziale, road movie per eccellenza. Inizialmente stroncato dalla critica, si è guadagnato negli anni la fama di cult, seminando proseliti e invasati (presente!). Perché?

Da diligente critica, dovrei rispondere: per una sceneggiatura esplosiva, unita a tempi registici perfetti e ad un ritmo che lascia senza fiato, il tutto coronato da dialoghi da antologia (un esempio su tutti: Jake: “Che è questa?”; Elwood: “Questa che..?”; J. “Quest’auto. Che cavolo significa? Dov’è la Cadillac? La Cadi, dov’è la Cadi..?!” E. “La che..?”; J. “La Cadillac che avevamo una volta, la Bluesmobile..!” E. : L’ho cambiata.”; J. : “Hai cambiato la Bluesmobile con questa??”; E. “No, con un microfono.”; J. “Con un microfono?!?… Va bene, hai fatto bene.”); per le scene d’inseguimento e di incidenti stradali autenticamente epici, che hanno fatto scuola; per la strabiliante colonna sonora, un inno alla musica blues; per le innumerevoli partecipazioni di star a livello mondiale (Cab Calloway, James Brown, Aretha Franklin, solo per citare i più noti); e, soprattutto, per uno dei suoi protagonisti, John Belushi, dotato di un talento e di un carisma unici, ideatore del duo insieme a Dan Aykroyd per il Saturday Night Live, scomparso all’età di trentatré anni. Un attore consacrato al mito grazie a questo personaggio, con cui, nella vita reale, aveva più di un punto in comune.

Spiegazioni più che convincenti, mi pare, che però sono quasi superflue. Perché questo film incarna (in celluloide) la perfezione, senza che si senta il bisogno di indagarne le motivazioni (a volte non è necessario). E trasuda libertà, questa è la parola chiave. Libertà, anarchia, sovvertimento dell’ordine costituito, ribellione all’autorità, concetti di cui Joliet Jake/Belushi si fa portavoce, trasformandosi in icona ed entrando nella storia del cinema.

Nessuna sbavatura, solo magia.

Magia del cinema.