The Killer di David Fincher, la recensione

“When you say “it’s gonna happen now”. Well when exactly do you mean?” “How Soon is Now”

The Smiths

The Killer era un film che destava parecchia curiosità: per il connubio David Fincher e Michael Fassbender e per il ritorno di Fincher al thriller, genere che lo ha reso famoso e di cui prende gli archetipi per trasformarli in altro.

Il film parla di un sicario che non sbaglia mai. Fincher riesce a mettere in scena un film dove il narrato e il come viene narrato vanno di pari passo. Un protagonista altamente meticoloso, preciso, metodico, per un film dove nulla viene lasciato al caso, ma dove comunque il fato entra.

Così narrato e narrazione, linguaggio e meta linguaggio vanno di pari passo. I dettagli meticolosamente narrati come sempre diventano non solo narrazione, ma sono il meccanismo con cui viene messa in scena l’ossessione per il controllo.

Il nuovo film di Fincher è un film profondamente classico. Ha gli aspetti di un noir francese, infatti inizia proprio a Parigi come a omaggiare vecchi film di Clouzot e Melville. Ma ha anche delle similitudini con Leon di Luc Besson, infatti si parla di un killer con dei punti deboli. Viene onorata una certa filmografia d’azione europea, meno action, più suspence e intreccio. Tuttavia sotto l’aspetto del film classico, vintage, e di un revenge movie, si nasconde un film filosofico: cos’è il caso? Cos’è la volontà? Cos’è il controllo? Ma la vera domanda del film è: quanto controllo abbiamo sulle nostre vite? Cosa succede quando perdiamo questo controllo?

Il film come una matrioska ci porta nella vita di un uomo che non è preparato a improvvisare e ci fa vedere come nulla sia dato al caso. C’è un’analisi meticolosa di ogni aspetto e di ogni scelta del killer, che sembra più che un sicario, un moderno James Bond, che usa le situazioni e la tecnologia a suo favore. Il protagonista composto ed enigmatico coi suoi mantra e le sue certezze, conduce lo spettatore nelle stesse scoperte che fa lui e nella sua strategia d’attacco, dove nulla è lasciato al caso, aspetto tipico dei film di Fincher.

Lo spettatore entra in un gioco di scoperte, dove conosce altri personaggi, portatori di colpe e di segreti, che neanche loro conoscono. Sono personaggi ricchi e potenti, ma lo sono diventati attraverso l’inganno e tutti hanno qualcosa da nascondere e si sentono protetti dalla ricchezza e dal potere, che invece li fa entrare in un circolo viziato di inganni, e questa agiatezza, il loro benessere e il bisogno di manifestarlo, li rende vulnerabili.

Inoltre Fincher si permette una riflessione sulla tecnologia e su quanto siamo esposti attraverso questa, non solo sul bisogno di mostrarci, ma anche sull’uso che ci semplifica la vita tutti i giorni. Il film distilla in noi un senso di insicurezza. È proprio questo connubio tra classico e ipermoderno che dà al film un’atmosfera “charming” e misteriosa.

Oltre al protagonista vero e proprio, come co-protagonista c’è la musica dei The Smiths, che è presente spesso stridendo visto che la ascoltiamo in maniera esegetica e sincronica dalle cuffiette del protagonista. Ci chiediamo cosa c’entra il romanticismo catartico e struggente, un po’ adolescenziale degli Smiths, anche la rabbia che avevano per certe tematiche sociali, con un uomo che pianifica tutto, che pare non avere emozioni e che vive di violenza.

La musica è importante nel cinema di Fincher, anche questa volta c’è lo zampino dei geni Trent Reznor e Atticus Ross. Già in passato abbiamo visto casi di musiche che si contrappongono con la scena: esempio eclatante, Enya usata in una scena di tortura di Uomini che odiano le donne o l’uso sarcastico di Where is my mind dei Pixies in Fight Club.

Non solo il protagonista ci narra le situazioni che gli si presentano in un flusso di coscienza joyciano, ma ci fa ascoltare la musica che ascolta lui, in una condivisione totale con lo spettatore. Siamo vicinissimi al protagonista, addirittura dentro la sua testa. Nonostante questo ci chiediamo se il protagonista non abbia orchestrato tutto, visto che non capiamo se inconsciamente lui, nel presentarci il suo lavoro, ne sembri stanco e annoiato. Il film, oltre la sensazione di insicurezza, distilla anche un senso di mancanza di certezza in quello che si è visto, come se mettere in scena come unica prospettiva quella del protagonista portasse delle mancanze. Il film risulta disorientante per il vortice in cui siamo totalmente immersi, ma anche per questa vicinanza con il protagonista.

The Killer non ha tradito le aspettative: Fincher continua a parlarci del lato oscuro dell’uomo ma mettendo un altro tassello nella sua filmografia. Non ci sono l’iperviolenza, il nichilismo e le immagini pop di Fight Club, né l’inganno conclamato di Gone Girl e neanche la catarsi di Seven, tuttavia anche questa volta Fincher riesce a “darci quello che vogliamo” scardinando il thriller e facendo una riflessione filosofica sull’uomo moderno e il suo mondo.

Voto: 3/4