TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI di Martin McDonagh (2017)
Ebbing, Missouri: Mildred Hayes (Frances McDormand) non si rassegna al fatto che l’assassino e stupratore della figlia non sia stato individuato e arrestato. La donna decide dunque di farsi giustizia da sola, affiggendo su tre enormi cartelloni pubblicitari una serie di poster che dichiarano apertamente guerra all’inefficienza della polizia e al suo capo, lo sceriffo Bill Willoughby (Woody Harrelson).
Premio per la migliore sceneggiatura alla 74ª Mostra del Cinema di Venezia, vincitore del People Choice Award al Toronto International Film Festival e di 4 Golden Globes, Tre manifesti a Ebbing, Missouri di Martin McDonagh è una black comedy dalla straordinaria potenza espressiva, irruente e carismatica, il cui centro motore e propulsore sta nella manifestazione tragica, cinica e grottesca di una rabbia violenta e incontrollabile. Una rabbia che, nel caso di Mildred, appare ai nostri occhi perfettamente giustificata anche nel momento in cui sceglie coscientemente di degenerare in atti estremi e biasimevoli; un’altra, gratuita, repressa e pronta a esplodere nella furia più cieca, quella che domina il tragicomico Dixon (un bravissimo Sam Rockwell): poliziotto mammone, omofobo e razzista, incarnazione esasperata – ma perfettamente credibile – dello sbirro stupido e iracondo. Entrambi i personaggi sono mossi dall’irrefrenabile ma umanissima necessità di dare libero sfogo alla propria insofferenza esistenziale; tuttavia, un simile temperamento non può che condurre inevitabilmente a ulteriori e drammatici atti di violenza. Ecco allora che, come una sorta di deus ex machina che fa della parola la sua sola arma, lo sceriffo Willoughby interviene a plasmare il destino dei soldati schierati sul campo di battaglia, scuotendone le coscienze e indirizzandoli verso un cammino di crescita e riflessione.
Un’opera davvero molto interessante e matura quella di McDonagh, forte soprattutto di una profonda chiarezza di intenti e di una sceneggiatura ben strutturata in cui i registri drammatico e grottesco si alternano e compenetrano infiammando un impianto narrativo già di per sè intenso e intrigante; un’opera che prende di petto – anzi, a pugni – lo spettatore attraverso la messa a nudo del labile confine fra lo sconforto, la rabbia e lo smarrimento che assalgono l’essere umano nell’esternare l’insopportabile dolore generato da una perdita e nel disperato tentativo – o rifiuto – di metabolizzarlo. Un applauso va però in particolar modo agli attori, in primis a uno stupefacente Sam Rockwell e a una Frances McDormand che raggiunge la perfezione nell’incarnare una madre incattivita e resa cinica e impudente dall’impossibilità di trovare giustizia in chi dovrebbe al contrario garantirla.
Sicuramente uno dei protagonisti nella corsa agli Oscar 2018.
Voto: 3/4
Viola Franchini