UN ALTRO GIRO di Thomas Vinterberg – La recensione
In Danimarca il bere è una gioia quotidiana, un atto di liberazione, ci dice Un altro giro, premio Oscar 2021 al miglior film internazionale. Ovviamente, dietro a questa lettura superficiale, il premiatissimo film di Thomas Vinterberg, regia cardine del cinema danese che dal manifesto radicale di Dogma 95 è passato a titoli acclamati con Il sospetto (con lo stesso Mads Mikkelsen), è molto più profondo: il film è un’opera dolceamara che, pur sfociando nel dramma, mantiene un senso di leggerezza e speranza, si racconta la crisi di mezza età, quando i rimpianti, i fallimenti e i bilanci presentano il loro conto.
Capace di misurarsi con equilibrio tra tristezza e levità, insoddisfazione e ricerca della libertà, Un altro giro è anche un film segnato dal lutto: quello terribile del regista che ha perso la figlia 19enne Ida e che ha girato alcune scene con i compagni di scuola della ragazza, morta in un incidente stradale (era previsto che anche lei comparisse). E non è dunque forse un caso che il vero tema al centro del film sia proprio l’elaborazione del cambiamento, una svolta esistenziale per riscoprire se stessi, e che al tempo stesso l’entusiasmo e i fremiti dell’età giovanile pervadano l’intera pellicola, aperta dalla frase di Søren Kierkegaard “Cos’è la giovinezza? Un sogno. Cos’è l’amore? Il contenuto del sogno”.
Al centro, quattro insegnanti, amici fraterni, che decidono di sperimentare una teoria dello psichiatra norvegese Finn Skårderud, secondo cui gli esseri umani nascerebbero con un deficit di 0,5 gradi di alcool nel corpo. Per questo motivo, assumerne modiche quantità ogni giorno permetterebbe di vivere più felici e spensierati, in uno stato di ebbrezza perenne. Effettivamente questa leggera ubriacatura quotidiana porta grande giovamento nella vita dei quattro sia sul fronte professionale che su quello personale: il test finisce però per sfuggire loro di mano, portandoli ad alzare l’asticella della resistenza, sino al punto di rottura.
Non è neanche lontanatamente un film moralista l’opus numero 12 di Vinterberg, che non parla di alcoolismo come piaga sociale né offre giudizi (come avrebbe probabilmente fatto un film americano: staremo a vedere come sarà il remake prodotto da Leonardo DiCaprio), ma si concentra sulla malinconia dell’invecchiamento e al tempo stesso è un inno palpitante alla vita. Un altro giro passa con sorprendente vaporosità dal registro drammatico a quello leggero, commuove in molte scene di grande impatto (il funerale, il coro degli studenti, la sequenza catartica finale) e inebria con la sua carica emozionale che vede al centro l’efficace e bravissimo Mads Mikkelsen: un viso unico e iconico, un corpo di sorprendente presenza scenica, forse uno dei migliori attori della scena contemporanea.
Voto: 3/4