VENEZIA 2018: DOUBLES VIES (NON-FICTION) – La recensione
A cinque anni di distanza dal grandioso affresco sessantottino Qualcosa nell’aria, torna alla Mostra di Venezia Olivier Assayas, che porta al Lido la curiosa commedia Doubles vies, forte di un cast che conta alcuni dei migliori interpreti d’Oltralpe come Juliette Binoche, Guillaume Canet, Vincent Macaigne. L’esile trama lega diversi personaggi impegnati in relazioni e tradimenti reciproci (uno scrittore e la sua compagna portaborse di un politico, un editore e la moglie attrice), ma il fil rouge che anima le conversazioni di una pellicola interamente basata su dialoghi è una riflessione sulla crisi dell’editoria, sull’avanzata del mondo digitale e sulle sue relative ripercussioni sul pubblico.
Cineasta capace di calarsi con naturalezza nel realismo quotidiano, Assayas continua il suo percorso attraverso temi concreti della cultura contemporanea, dopo l’analisi del mondo cinematografico in Sils Maria e quella della perdita d’identità nell’era digitale in Personal Shopper. Se però le due precedenti pellicole erano contraddistinte da una enorme complessità narrativa e visiva e da un grande coraggio nel mescolare cinema d’autore e di genere (vedi il thriller soprannaturale affrontato in Personal Shopper), Doubles vies – che in Italia uscirà con il titolo Non Fiction – rappresenta certamente un passo indietro, un’opera “minore” che sembra quasi un divertissement per uno dei registi più eclettici e significativi del panorama europeo.
Se i discorsi sui pregi e i difetti dei cambiamenti tecnologici si traducono in una sequela di dibattiti che – naturalmente – non trovano una risposta definitiva, l’aspetto più riuscito del film è la vena d’ironia che lo percorre nella sua interezza e che vede il regista francese giocare in modo beffardo e canzonatorio non solo sul mestiere di scrittore e sulle dinamiche di coppia (tra corna, ipocrisie, conclusioni o risoluzioni di rapporti che spesso rasentano il farsesco e il ridicolo), ma anche sul suo stesso mondo, ovvero la settima arte, tra giochetti metacinematografici e un’amabile “frecciatina” al collega Michael Haneke. Un film godibile in cui si ride e si sorride spesso, ma nulla di più.
Voto: 2/4
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