Venezia 79: Don’t Worry Darling, la recensione del film con Florence Pugh e Harry Styles
Se lasciassimo per un attimo la mera cinefilia per dedicarci al lato più gossipparo della Mostra di Venezia, il film dell’edizione numero 79 sarebbe senza dubbio Don’t Worry Darling. La pellicola di Olivia Wilde è arrivata al Lido preceduta da polemiche ulteriormente alimentate che lo hanno reso grande protagonista, al di là di quello che è il suo valore cinematografico.
Prima c’è stato il botta e risposta a distanza tra la Wilde, attrice al suo secondo film da regista dopo l’apprezzato La rivincita delle sfigate, e Shia La Boeuf (è stato licenziato come dice lei o se n’è andato da solo come dice lui, rimpiazzato da Harry Styles?). Quindi, il chiacchiericcio intorno al film si è moltiplicato a Venezia quando Florence Pugh ha disertato la conferenza stampa, ufficialmente per ritardi nel viaggio, salvo sbarcare al Lido esattamente quando i colleghi erano alle prese coi giornalisti e apparire alcune ore dopo sul red carpet. Infine, ecco che media e social di mezzo mondo si sono affannati ad analizzare scrupolosamente il video del cast alla presentazione in Sala Grande, per discutere sul mancato contatto visivo tra la Wilde e la Pugh (che sarebbero ai ferri corti) e addirittura di un presunto sputo di Styles (peraltro attuale compagno di Olivia) contro il collega Chris Pine.
Se l’intero ciclone nasconda davvero delle incomprensioni sul set o sia montato ad arte non è dato saperlo, se tutto ciò aiuterà o danneggerà il film spetterà ad altri (produzione in primis) giudicarlo. Limitiamoci a parlare del film, un mix di thriller e distopia ambientato in un complesso residenziale nel mezzo del deserto californiano di fine anni 50. Apparentemente il luogo perfetto in cui vivere, dove le mogli passano le loro giornate a rassettare casa e a fare shopping, aspettando i mariti che lavorano in una misteriosa base dedita a progetti top secret. La protagonista Alice, nonostante la sua vita dorata al fianco dell’amatissimo marito Jack, inizia ad avere strane visioni e non tarda a comprendere come dietro la patina di quell’Eden fatto di case impeccabili, abiti meravigliosi e Cadillac fiammanti si celi qualcosa di terribile.
Le premesse di Don’t Worry Darling sono davvero notevoli, con un’interessante parabola femminista che gioca sugli stereotipi dell’America chiusa e patriarcale dei Fifties (argomento peraltro in parte ancora attuale) e si rivela molto potente a livello visivo, con immagini di grande ricercatezza carezzate da un’impeccabile colonna sonora d’epoca. Interessante è anche la presenza di alcune sottili discrepanze nella ricostruzione storica, che lasciano intuire quale sarà la rivelazione finale. Peccato che la cornice finisca per soffocare il quadro e l’elegante confezione visiva insieme a qualche ottima scena action non bastino a nascondere i difetti di un film in definitiva estremamente derivativo: Don’t Worry Darling sembra una macedonia di tantissime cose già viste, da La donna perfetta (che era già il remake di La fabbrica delle mogli) a X-Files e Black Mirror e mille altre cose, in un tentativo di fare horror/scifi intelligente alla Jordan Peele. Soprattutto, è troppo lunga l’attesa per il colpo di scena risolutivo che porta con sé buchi di trama ed elementi che non tornano del tutto, con un finale troppo frettoloso (al punto che sorge il dubbio su un possibile sequel). Ottima la prova della Pugh che in sostanza regge tutto il film, meno convincente Pine come villain. Rimandato Styles, che s’impegna ma come attore ha ancora parecchia strada da fare.
Voto: 2/4