Venezia 79: la recensione di Hanging Gardens
Pellicola d’esordio nel lungometraggio per Ahmed Yassin Al Daradji, Hanging Gardens (in Orizzonti Extra a Venezia 79) è un film di produzione arabo-britannica che parla di un tema tabù: la prostituzione (anche se solo di una bambola), la pornografia, la sessualità maschile in un paese arabo.
Nonostante la tematica di fondo, il film “sboccia” come un fiore in mezzo a cumuli di spazzatura, gli stessi cumuli dove giornalmente i due fratelli orfani, As’ad (appena adolescente) e Taha, cercano nella discarica di rifiuti alla periferia di Baghdad, denominata “Hanging Gardens”, qualcosa da rivendere al patriarca a capo di una banda locale, per il quale i due ragazzi “lavorano” per pochi spicci di sopravvivenza. La loro è una vita misera, che si svolge per lo più tra i miasmi fetidi delle montagne di spazzatura che setacciano, in un paesaggio nauseabondo e desolante. In un mondo così estremo, c’è pure spazio per atti di pietà umana, quando trovano il corpo senza vita di un neonato a cui fanno un funerale improvvisato.
Nonostante il contesto sia così drammatico, prosaico e desolante il regista riesce a donare al film una leggerezza di fondo attraverso lo sguardo di As’ad, tanto disincantato da organizzare con l’amico Amir di far “prostituire” la bambola gonfiabile (che parla inglese) trovata tra i rifiuti (quel che resta dell’invasione americana?), quanto puro e innocente nei momenti in cui la lava con cura, l’accarezza con dolcezza, la coccola con una purezza di sguardo, una protezione e una tenerezza che sono il punto dove il film raggiunge il suo apice poetico: quasi a dirci che la bellezza (in questo caso l’innocenza), è nello sguardo di chi guarda. E infatti, non altrettanto innocente, è lo sguardo del fratello Taha, mentre spia attraverso un foro nel muro diroccato del terrazzo, la ragazza della casa di fronte. La donna se ne accorge e si chiude in casa. Di lì a non molto, i maschi della famiglia, sollevano un lenzuolo a protezione della casa e della vista della ragazza, interrompendo dunque il gioco di sguardi reciproci.
Il tutto mentre il business dei due ragazzini va a gonfie vele e si ritrovano ad avere un’abbondanza di clientela per la “bambola” di As’ad (il quale, in cuor suo, vorrebbe salvarla da quel destino). Ecco però che la lunga fila di uomini in attesa del proprio turno davanti a un’improvvisata e precaria “casa d’appuntamenti”, non può non dare nell’occhio e finisce per attirare non solo l’attenzione dei clienti…
I guai per As’ad e Amir sono dietro l’angolo e il finale come prevedibile prenderà una piega amara. Con Hanging Gardens, il regista Ahmed Yassin Al Daradji, raccontando una storia strana e surreale, con un occhio guarda e descrive la sessualità maschile e la complessità dei rapporti uomo donna nel mondo arabo, con l’altro osserva (rassegnato?) le conseguenze nefaste, i lutti, la miseria e la desolazione che la guerra irachena ha prodotto e portato nella vite della propria gente.
Voto: 2,5/4
Mirta Tealdi