Venezia71: ANIME NERE di Francesco Munzi

anime nere posterArriva l’Italia in concorso al Lido con Anime Nere di Francesco Munzi, distribuito da quella Good Films che si sta dimostrando tanto lungimirante nella distribuzione internazionale (dobbiamo a loro Dallas Buyers Club e Nymphomaniac).

Dal regista di Saimir e Il resto della notte, un’opera oscura, tratta dall’omonimo romanzo di Gioacchino Criaco, girata coraggiosamente (per la maggior parte) nel covo della ‘ndrangheta, l’Aspromonte. Una gestazione difficile, soprattutto per la pericolosità delle location scelte, tant’è che Munzi è il primo regista ad aver mai girato ad Africo (provincia di Reggio Calabria) e senza poter godere di una “protezione mediatica” di cui possono aver beneficiato altri suoi predecessori.

 

Una scelta ardita, anche per la tematica (la scelta tra la vita facile ma breve e immorale della malavita o le asperità di un’esistenza onesta dedicata al duro lavoro nei campi) e soprattutto per una sceneggiatura cupa, totalmente pessimista, che non lascia spazio a facili buonismi come spesso accade alla cinematografia nostrana. E trattandosi di un film italiano, occorre rilevare anche le prestazioni sobrie ed efficaci dei tre protagonisti nei panni dei fratelli Luigi (Marco Leonardi), Rocco (Peppino Mazzotta) e Luciano (Fabrizio Ferracane), ben attenti a evitare isterismi e scenate iperboliche di respiro accorsiano. Unica nota stonata del cast, a dire il vero, è la stridula Barbara Bobulova, la sola “vip” in gara: altro plauso per Munzi che non ha inserito forzatamente volti noti per compiacere il pubblico.

Ma se il regista non ha paura di cimentarsi con la materia, né di contaminare pesantemente i dialoghi con il dialetto calabrese, tuttavia non riesce a far decollare completamente l’opera che rimane, nel complesso, una riflessione originale per quanto riguarda il contesto socio-geografico ma non per i contenuti. L’eterna lotta tra il bene e il male (con quest’ultimo che, a sorpresa, trionfa) e il dilemma morale che si insinua nella famiglia finendo per distruggerla bruscamente vengono sviluppate in maniera un po’ troppo didascalica, così come didascalica è la suddivisione in ruoli dei fratelli: il trafficante di droga Luigi, il trafficone impiantato a Milano, dalla facciata pulita ma dal retro insanguinato, Rocco, e l’onesto pastore Luciano. Altrettanto scontatamente la dicotomia si riflette sul giovane figlio di Luciano, Leo (Giuseppe Fumo), che il padre vorrebbe vedere diventare un onesto cittadino, ma che ammira troppo lo zio Luigi per non pensare di replicarne le scellerate gesta. I brulli, desolanti paesaggi calabresi inquadrati da una fotografia fredda e opaca fanno da contraltare visivo a questa storia di asprezza umana che sembra ambientata in un mondo altro e che invece si svolge proprio qui, nello stesso paese del red carpet veneziano.

Non un trionfo, dunque, per l’Italia, ma nemmeno un disastro: si rimane nella medietas che pare contraddistinguere tristemente questa 71° edizione della Mostra. Nelle sale, il film arriverà il 18 settembre. 

 

Voto: 2,5/4